Intervista alla Sig.ra Gemma

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Intervista alla Sig.ra Gemma

Intervista di una mamma della Vivaio alla Sig.ra Gemma, ex collaboratrice scolastica della scuola.

Domanda: Quali ricordi ha della scuola Vivaio?

Risposta: La Vivaio è stata la mia vita. E’ una scuola che ricordo con una simpatia, un’allegria… 

Domanda: Può raccontarmi qualche esperienza in particolare?

Risposta: Un anno decisero di fare la settimana bianca a Lizzola. Andò tutta la santa scuola! Questa cosa non l’aveva ancora fatta nessuna scuola in Italia. Tutti hanno sciato. Sono rimaste solo due rappresentanze a scuola, qualora avesse chiamato il provveditorato non si poteva non rispondere. 

Domanda: Che cosa ricorda dei ragazzi in quel periodo?

Risposta: L’utenza era sciammanata e maleducata, potevi metter su una cancelleria con il porcilaio che lasciavano per terra… 

Alcuni ragazzini erano molto dolci e carini con i loro coetanei con difficoltà. Ne ricordo uno che guardava i suoi compagni con un grande affetto. E un altro che li faceva ridere. Erano già paterni a quell’età. 

Un anno sono pure finita in un’altra scuola a Legnano, ma appena ho potuto sono ritornata. 

Domanda: Di che cos’altro si occupava?

Risposta: Per un periodo venivo ad aprire la scuola di sera, due volte a settimana. Si veniva per cantare e disegnare. 

Di giorno aiutavo i ragazzini, durante le lezioni. Ricordo tra tutti il professor Pasquini, non vedente. Tutti erano innamorati di lui. 

Ricordo di una volta, una ragazzina che non aveva disabilità stava malissimo a causa delle mestruazioni. Sono scesa dal tabaccaio e le ho comprato un Ramazzotti. Ne ha bevute poche gocce e poi è stata bene.

Domanda: Ma i suoi genitori…? Come l’hanno presa?

Risposta: Alla madre l’ho detto subito. Ha riso. Faceva il medico di professione, ha detto che il liquore era un vasodilatatore…  

Domanda: Ha altri ricordi di quel periodo?

Risposta: Al mattino facevo entrare i ragazzini disabili a scuola prima dell’apertura.  Fuori c’era un freddo da galera. Ci mettevamo su una panca rossa ad aspettare l’orario di ingresso. Ricordo un ragazzino non vedente che aveva un tumore in testa, non hanno potuto guarirlo… Con lui giocavamo ai contrari, mi viene ancora un brivido a pensarci, una volta gli dissi alto, e lui per indicare il contrario rispose… te, Gemmina! Perché sono bassa di statura. Gli ho anche insegnato una poesia, che lui ha poi recitato in classe… e ne ero così fiera.

Domanda: Se la ricorda quella poesia? 

Risposta: Certamente.

Clof, clop, cloch,

cloffete,

cloppete,

clocchette,

chchch……

É giu’ nel

cortile

la povera

fontana

malata,

che spasimo

sentirla

tossire!

Tossisce,

tossisce,

un poco

si tace,

di nuovo

tossisce.

Mia povera

fontana,

il male

che ài

il core

mi preme.

Si tace,

non getta

piu’ nulla,

si tace,

non s’ode

romore

di sorta

che forse… 

che forse

sia morta? 

Che orrore!

Ah, no!

Rieccola,

ancora

tossisce.

Clof, clop, cloch,

cloffete,

cloppete,

chchch….

La tisi

l’uccide.

Dio santo,

quel suo

eterno

tossire

mi fa

morire,

un poco

va bene,

ma tanto!

Che lagno!

Ma Habel!

Vittoria!

Correte,

chiudete

la fonte,

mi uccide 

quel suo

eterno

tossire!

Andate,

mettete

qualcosa

per farla

finire,

magari…

magari

morire!

Madonna!

Gesù!

Non più,

Non più!

Mia povera

fontana

col male

che ài

finisci

vedrai

che uccidi

me pure.

Clof, clop, cloch,

cloffete,

cloppete,

clocchete,

chchch…

(La fontana malata, Aldo Palazzeschi)

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