Intervista su Educazione Fisica e Benessere

Created with Sketch.

Intervista su Educazione Fisica e Benessere

Intervista alla professoressa Sironi e al professor Quaranta, attuali docenti Vivaio, e ai professori Zaninelli, Eid e Belisario, ex professori Vivaio.

D: Adattare la didattica. Perché?

Eid: Per permettere a tutti di partecipare. L’adattamento può avvenire in vari momenti: nella progettazione iniziale, quella in itinere e, soprattutto, nella didattica quotidiana. Ogni adattamento si può svolgere su vari livelli: qualitativo, quantitativo, temporale, … Oramai da molti anni esistono dei corsi di studi universitari che sono dedicati alla Attività Fisica Adattata  

Sironi: Si cerca di coinvolgere tutti, anche lavorando in piccoli gruppi, in modo che tutti provino l’esperienza. Ci sono dei momenti in cui fai fatica e ti dici ok, adesso come faccio? Però c’è anche la fantasia dei ragazzi: ti dicono prof, possiamo fare questa cosa qua…  Si può adattare il gioco, la pallavolo si può fare con regole diverse, si introduce la regola di prendere la palla dopo un rimbalzo, o si gioca da seduti. In altri casi, possiamo lavorare sull’arbitraggio. Tutti sanno che, per partire, devono aspettare il via del loro compagno. 

Un ragazzo può muoversi nella palestra mentre gli altri giocano, ed è il suo modo di partecipare. Non tutti devono fare la stessa cosa per sentirsi partecipi. 

Zaninelli: I ragazzi che possono arbitrare sono all’interno di un gioco. Dentro la programmazione delle ore ci sono caratteristiche che devono essere evidenziate e mantenute. Ma poi si possono fare dei giochi coinvolgendo tutti.

D: …adattamento è anche capacità di fare proposte che siano reali occasioni formative. Professor Zaninelli può farci qualche esempio?

Zaninelli: Per la motricità fine dei polpastrelli si utilizzano palle di diverse dimensioni. Si ruotano attorno al corpo come per fasciarsi, come una mummia, lo si fa con la pallina grande o con piccola, e cambia l’aderenza al corpo, la capacità di trattenere la pallina…

D: Adattare la didattica significa anche creare un interesse da parte dei ragazzini, stimolando dei valori positivi

Quaranta: Si cerca di proporre delle attività che possano piacere ai ragazzi, e di favorire delle dinamiche che permettano il lavoro di squadra. 

E’ basilare che il percorso che fanno diventi anche loro. Cercare modi per accattivarli. Bisogna far sì che confidino nel professore. 

Da una parte si tratta di strutturare un interesse, dall’altra anche far sì che i ragazzi riescano a responsabilizzarsi e darsi da fare. 

Sironi: Con il professor Quaranta proponiamo le attività di resistenza. Per un’attività la consegna è 15 minuti, chi vuole ne fa 45, e vediamo che questo li stimola a fare di più. Ho visto tanti ragazzi che erano dei tapascioni correre per 45 minuti di fila, misurarsi con i loro limiti. Il non ci riesco o non so fare nel vocabolario non deve esserci, ci deve essere il provarci. 

D: Professoressa Sironi, la progettazione si fa per preparare le lezioni. Ma voi siete attenti al benessere anche al fuori delle lezioni… 

Sironi: Ogni tanto li vedi che sono elettrici e dici cavolo, fanno fatica. Io quando li vedo troppo frizzanti, prima di iniziare gli dico: avete 5 minuti in cui correte e saltate, e poi mi date attenzione. E’ una necessità. Avrebbero bisogno di fare più movimento… ogni tot ore dovrebbero fare movimento libero, non decodificato.  

Poi i ragazzi si devono anche abituare che non è sempre la regola che puoi sfogarti, se sei frizzante. Devono anche stare sulla frustrazione, non arrendersi subito.

Eid: Un esempio può essere la gestione che il collegio dei docenti aveva progettato per lo spazio della pausa mensa. Avendo a disposizione circa un’ora e mezza – avevamo inventato, con la disponibilità dei colleghi e della dirigente, una serie di attività che i ragazzi potevano svolgere prima o dopo il pasto in mensa. Gli studenti avevano a disposizione vari spazi e varie attività: dai tornei sportivi, alla sala lettura, all’aula di musica, …. Tale organizzazione, oltre a lasciare libertà agli studenti (sempre e comunque sorvegliati), consentiva ai docenti in servizio di controllare gli spazi e non la loro classe come avviene nella norma. 

D: La scuola Vivaio si caratterizza infatti per un’attenzione alle attività extrascolastiche e per un senso di comunità molto speciale

Sironi: Il momento del Covid aveva portato a perdere l’abitudine a fare cose insieme, come le gite. Ora stiamo tornando a farle e ad abituarci di nuovo a lavorare per laboratori e per classi miste, nelle interclassi, dove ci sono tutte le classi insieme. Siamo ritornati a quello che c’era prima, ma dobbiamo ancora riabituarci.

Un beneficio è che i ragazzi sono di tutti, non hai i tuoi, hai più confidenza con alcuni sì, ma impari a conoscere tutti, e loro tra di loro, di conseguenza, e lavorare in questo modo rende i ragazzi più autonomi.

D:  La necessità di adattare la progettazione è sempre stata molto sentita: la Scuola per Ciechi è nata a fine anni ‘70 con una grandissima spinta all’innovazione che si è mantenuta fino ai nostri giorni. Professor Belisario, ci può parlare di quei primissimi periodi? 

Belisario: La scuola in quel periodo assorbiva le caratteristiche che prima erano esclusive della scuola differenziata per non vedenti, e le integrava con il programma delle scuole statali. Era un progetto di integrazione nuovo per quegli anni, una sperimentazione vera. 

Con i miei colleghi ci siamo battuti per portare avanti quel progetto, con l’aiuto e la collaborazione della presidenza e dei genitori degli allievi. 

Come docenti abbiamo visto degli ottimi risultati, soprattutto dal ritorno degli allievi e dei genitori. In molti casi si creava un rapporto alunno e docenti più aperto di quello classico. Io personalmente sono rimasto in buoni rapporti con molti ex studenti.

D: Professor Zaninelli, come si collocava l’Educazione Fisica in quelle fasi germinali del progetto?

Zaninelli: L’educazione Fisica fin dalla fine dell’800 ha sempre avuto un grande risvolto nell’Istituto dei Ciechi. La prima indicazione strutturata su questo era del 1926. Poi nel 1977 venne fatta richiesta la sperimentazione delle 3 ore con i due insegnanti, e da allora una delle caratteristiche principali della Scuola è l’Educazione Fisica 

D: Professoressa Sironi, quali vantaggi ci sono ad avere un’ora in più di Educazione Fisica?

Sironi: Ne abbiamo una in più, ma io ne vorrei cinque… Riesci a fare più esperienze. Avere un’ora in più permette a noi professori di creare una relazione più intensa con i ragazzi. Puoi conoscerli di più e questo è importante, sai se una classe può organizzarsi o se ha bisogno di aiuto, capisci il livello di adattamento alle attività che richiedi perché c’è la classe che è più indietro, quella più autonoma… ognuna ha i suoi tempi. 

Sarebbe bruttissimo vederli una volta a sola a settimana. 

Quando li vedi due ore non fai in tempo a dire ciao, mentre è importante poter entrare in classe e dire ciao, come stai?

Quaranta: In Francia arrivano a 4 ore di educazione fisica… Ne vorremmo fare di più di ore. 

Avere un’ora in più significa tanto anche perché possiamo conoscere meglio i ragazzi, vederli nella loro completezza, non solo da un punto di vista motorio ma anche affettivo e relazionale. possiamo strutturare meglio le lezioni con riferimento alle dinamiche tra i ragazzi.

D: A quali dinamiche fate attenzione, a livello di gruppo e individuale?

Quaranta: Se un ragazzino è più bravo, lo si stimola a mettersi in gioco per aiutare; se uno percepisce di essere indietro, lo si incoraggia a provare.

In una classe c’erano delle difficoltà e abbiamo iniziato a riflettere su cosa sia una squadra rispetto a un gruppo, di come nella condivisione di obiettivi comuni ci si identifica in una squadra, che si forma per il raggiungimento di un obiettivo che deve essere comune.

Ora quella classe si sta preparando al torneo di pallavolo, è una cosa che piace perché è un obiettivo perseguibile. Cerchiamo di strutturare degli obiettivi perseguibili, che diano una direzione. 

Sironi: La prima cosa che dico ai ragazzi quando arrivano in prima è che sono tutti diversi – come in ogni altra scuola -, ma dobbiamo passare attraverso la diversità per creare un gruppo. 

Ciascuno nel proprio esser diverso può portare qualcosa al gruppo, qualcosa che può arricchire il compagno.

Inizia un processo che va dalla prima alla terza media, che è quello di creare un gruppo che diventi squadra, non per diventare campioni, ma per valorizzare il singolo nel gruppo. Ognuno ha un suo obiettivo personale, e spesso i ragazzi stessi ci danno delle soluzioni per far sì che tutti vengano coinvolti. 

Quello che diamo loro è il valore del gruppo, la capacità di riconoscersi in un gruppo e di valorizzare tutti dal punto di vista individuale. 

Quando esco di qui non sono diventato un fenomeno, ma sono arrivato a raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato.

L’obiettivo è che una volta usciti da qui dicano ok, mi prendo cura del mio corpo, mi prendo cura di me stesso. 

Li aiutiamo ad essere sé stessi, oggi passa tutto dall’apparenza e tanti fanno fatica, vengono fuori facendo i bulletti, si fanno riconoscere così dalla classe, ma non c’è bisogno. 

Lo sport aiuta, io ho sempre giocato a calcio, sono nata con il pallone tra i piedi e alle superiori sono riuscita a entrare in una squadra femnminile, le mie amicizie sono state quelle, mi allenavo tantissimo, arrivi a casa tardi, c’è un matrimonio o una comunione e non puoi andare… lo sport ti insegna a fare delle rinunce, a creare delle relazioni sane, ti tira via da ambienti che non fanno bene…

D: Parlando della compresenza tra professori: quali vantaggi ci sono?

Eid: Avere due insegnanti su una classe (per tre ore settimanali) è un privilegio: hai la possibilità di lavorare a 360 gradi su molte attività che normalmente non è consentito. Con questa organizzazione è possibile svolgere: una lezione frontale con tutti, dove si può avere un’assistenza speciale di uno dei due insegnanti; una lezione con due gruppi che affrontano o due attività differente o la stessa con difficoltà e intensità differenti.

Zaninelli: Due professori sono un aiuto alla disabilità. La vicinanza di uno dei due può far vincere un timore, dare sostegno con una risata… Permette una presenza più accurata dell’insegnante, in rapporto alla disabilità. 

Quaranta: La compresenza facilita la gestione del gruppo classe perché sono tante le richieste e le situazioni specifiche, e si possono facilitare le situazioni di apprendimento.

Può essere impegnativa perché c’è una mediazione e bisogna lavorarci su, mentre quando uno decide da solo media con sé stesso; lavorare insieme aiuta perché si crea un confronto, uno spirito critico, magari uno ha certi aspetti che lo caratterizzano e un altro ne ha altri, e si può migliorare. 

Sironi: Io vengo da uno sport di squadra, con il professor Quaranta ci siamo trovati molto bene in compresenza perché siamo tanto diversi: lui proviene da uno sport individuale, abbiamo idee diverse che ci hanno arricchito, siamo cambiati in meglio. Questo non è scontato, ho scoperto qui in Vivaio l’importanza del confronto. Anche per come intervenire con i ragazzini, a volte chiedo al mio collega se lui ha visto la stessa cosa che ho visto io… Poi ci sarà il collega con cui vai più o meno d’accordo, ma allora prendi alcune cose anziché altre. E’ sempre un valore.

Zaninelli: Tutte le scuole dovrebbero avere tre 3 ore e 2 insegnanti per Educazione Fisica. E’ meglio spendere in questa fase, prevenire possibili disagi…

Professor Belisario, lei in Vivaio ha realizzato diverse iniziative collegate allo sport e alle attività motorie, ma la sua materia principale era la matematica. A proposito di compresenza tra professori, ci parla della sua esperienza con l’insegnamento per i non vedenti?

Belisario: Io ho iniziato ad insegnare in Vivaio a ottobre 1978. I primi tre anni ero in classe con il professore L. Bolla., non vedente, che insegnava nell’Istituto da prima che arrivassi. Lo affiancai nelle ore di matematica in compresenza. 

Milanese di origine, di una famiglia credo molto benestante, aveva già una certa età, aveva viaggiato e visitato mezza Italia, è stata una persona che mi ha aiutato moltissimo. 

II professor Bolla si sedeva vicino al ragazzo non vedente e mi spiegava quali tecniche usare, quali passaggi seguire. 

I ragazzi non vedenti non erano molti ma tra i primi che ho seguito ne ricordo due in particolare: M. e P. avevano un grave disturbo visivo, lei con gli occhi non completamente sviluppati, e lui con una patologia degenerativa, credo fosse retinite pigmentosa. Con l’aiuto del professor Bolla ho imparato tante cose sulla didattica per non vedenti: quali aspetti poter sfruttare della sensibilità del non vedente, quali caratteristiche conoscere. Per esempio mi diceva di considerare l’aspetto motorio e sensoriale. 

D: Ci può fare qualche esempio del rapporto tra movimento e apprendimento?

Belisario: A un bambino non vedente l’individuazione di un certo angolo o la valutazione di una distanza viene insegnato anche attraverso i movimenti del corpo e il senso dell’udito. In una fase successiva le esperienze fatte aiutano a formare i concetti e ad interiorizzarli.

D: E per quanto riguarda l’attenzione agli aspetti sensoriali? Come influiscono sull’apprendimento?

Belisario: In prima classe il professor Bolla mi faceva verificare se il bambino avesse delle buone capacità di seriazione. Io ho tanti oggetti di misura differente, li devo mettere in ordine. Il vedente individua l’ordine; il non vedente deve fare un confronto a coppie, un confronto continuo. 

Sul discorso delle lunghezze: se devi confrontare due lunghezze, devi usare un elemento di confronto. Il ragazzino deve poter toccare più oggetti per poter individuare la differenza.  

Per la costruzione delle figure geometriche usavamo un geopiano che avevo realizzato su una tavola di legno con i chiodini e gli elastici. Gli allievi non vedenti scrivevano con la tavoletta e il punteruolo e anche con la dattilobraille. Ovviamente ho imparato a leggere il braille.

Professor Eid, lei come professore di Educazione Fisica non ha avuto dei colleghi più esperti che l’hanno affiancata. Ci parla di come è entrato in Vivaio e di quali fattori, nel suo caso, hanno facilitato l’approccio di sperimentazione?

Eid: Ho vinto il concorso per insegnare nella scuola secondaria di primo grado nel 1984 e quando mi convocarono mi dissero che dovevo scegliere una sede provvisoria: scelsi la scuola per ciechi di via Vivaio con l’idea di fare una breve esperienza, e – invece – poi ci sono rimasto dieci anni. Non avevo mai avuto esperienze con studenti con disabilità, mi sono messo quindi alla prova e insieme agli altri colleghi di EF, siamo riusciti ad inventarci una nuova progettazione adattata.

Durante la mia permanenza in via Vivaio, ho avuto la fortuna di insegnare anche presso l’università di Milano come docente presso l’Isef della Lombardia. La mia materia era “Educativa”, la disciplina pratica più importante perché “insegnava ad insegnare”. La ricaduta didattica di questa mia esperienza universitaria sulla scuola di via Vivaio è stata molto importante: tutti i miei studenti universitari, infatti, erano tenuti a svolgere alcune ore di tirocinio presso la scuola, e quindi molto spesso – durante le lezioni – oltre ai due docenti curricolari – si aggiungevano uno o più tirocinanti che collaboravano fattivamente alla didattica.

Infine, sin dal mio primo anno d’insegnamento alla Vivaio, insieme ai colleghi di EF, abbiamo avviato quello che un tempo veniva chiamato Gruppo sportivo e che ora è definito (per legge) come Centro sportivo scolastico (CSS). Oltre alle attività pomeridiane incluse nel CSS, insieme ai genitori e docenti della scuola, abbiamo fondato la Associazione sportiva Vivaio, che ha organizzato per anni corsi di motricità, sport e attività ricreative per gli studenti e i genitori. La vivacità dell’associazione ha poi naturalmente avviato numerosi eventi ricreativi e sportivi, con particolare riferimento alla Corsa di orientamento (Orienteering) che nel tempo ha creato una vera e propria squadra – iscritta alla federazione di orienteering – coordinata dal prof. Francesco Belisario.

D: Professor Belisario, abbiamo parlato di domande che avete in comune – tra professori del passato e attuali di Vivaio -, e a cui avete dato risposte anche diverse: tra queste risposte c’è stato anche l’orienteering, e la nascita di una prima forma di associazionismo. Quest’ultima si è poi mantenuta fino ai nostri giorni. 

Belisario: Il fatto che l’Associazione fosse una realtà abbastanza presente e partecipe a molte attività era positivo per il rapporto che si creava tra i ragazzi, i docenti e i loro genitori.

In generale il genitore manda i figli a scuola, ha il suo mondo… le cose sono separate.

Invece con l’Associazione il rapporto continua anche all’interno della scuola. I figli vedono i loro genitori che li accompagnano, partecipano… il rapporto è positivo. 

Professor Belisario, la costante ricerca di soluzioni innovative, individualizzate e inclusive è un approccio che ha contraddistinto anche le materie tradizionali. Ci può parlare delle sue lezioni di matematica?

Belisario: Per poter seguire adeguatamente gli alunni non vedenti, molto spesso dividevo la classe in piccoli gruppi misti, ciò mi consentiva di proporre interventi quasi individualizzati, anche con strumenti tiflologici. E queste esperienze arricchivano anche i ragazzi vedenti del gruppo.

Per quanto riguarda Scienze, l’Istituto per Ciechi aveva un laboratorio ricchissimo di calchi in gesso e plastici in rilievo: dal corpo umano scomposto, ad animali, fiori ed oggetti vari… Come scuola avevamo l’autorizzazione ad usare questo locale e i suoi materiali e io ne ho approfittato spesso, ovviamente con tutta la classe; questo mi era utile non solo per fini puramente didattici, ma perché mi consentiva di offrire a vedenti e non vedenti una esperienza di apprendimento uguale e quindi integrante.

Uno degli attuali obiettivi del Ptof è di essere punto di riferimento per l’inclusione, ed è in corso una riflessione su come declinare questo proposito. Può parlarci di come avete supportato la formazione degli insegnanti di sostegno?

Belisario: Nell’ ‘86 circa, quando vennero istituiti i corsi di formazione per gli insegnanti di sostegno che non esistevano prima, i provveditorati e qualche ente non statale organizzarono corsi di specializzazione biennali in tutta Italia. Il provveditorato di Milano si rivolse al monsignor Varesi per reperire docenti esperti di didattica della minorazione visiva. Ricordo che monsignore convocò gli insegnanti delle varie aree, in servizio da più anni in via Vivaio e con esperienza tiflologica, proponendoci la docenza in questi corsi. Io accettai per l’area “Logico matematica della minorazione visiva”. 

A proposito di inclusione: professor Quaranta, in che modo viene stimolata in Vivaio l’inclusione nell’Educazione Fisica?

Quaranta: Si scelgono ad esempio degli sport in cui la componente atletica o prestazionale non è così rilevante, a favore di una partecipazione. Se abbiamo degli alunni non vedenti possono partecipare, e sono i normodotati che si adattano. 

Si può giocare a Torball, con una palla sonora. Con il Baskin si gioca per abilità, per livelli, il livello più base può fare ciò che per il livello successivo è un’infrazione, ad esempio fare dei passi con la palla in mano…

D: Ci parla delle Vivaiadi?

Quaranta: Le Vivaiadi sono una tradizione della nostra scuola media, siamo alla 27° edizione. Il fatto che i ragazzini possano cimentarsi in una competizione è importante perché hanno modo di confrontarsi con le loro potenzialità e limiti, ma in una situazione protetta. I punteggi dei singoli concorrono a un risultato di classe, c’è anche un premio per la classe più numerosa.

D: E’ un’attività all’aria aperta, cosa che voi favorite anche a scuola…

Quaranta: Ci muoviamo in un ambiente più naturale: ogni volta che è possibile facciamo attività all’aperto.

D: Parliamo della settimana bianca, un’occasione per scoprire nuove abilità. Professor Belisario e professor Eid, potete raccontarci la vostra esperienza su questo?

Belisario: Ricordo T., un mio allievo non vedente che aveva una grande fisicità, non aveva paura di cadere o farsi male, non si tirava indietro quando si trattava di sperimentare con il proprio corpo. Un inverno la scuola organizzò la settimana bianca e T. volle provare gli sci. Sciando fianco a fianco, io lo guidavo sulla pista baby per mezzo di un lungo bastone di cui entrambi impugnavamo le estremità. T. cadeva, ma non si arrendeva e poi un po’ alla volta riuscì a mantenere l’equilibrio. Una volta presa confidenza, sul facile tratto finale, imparò a lasciare il bastone guida e a continuare da solo fino a fermarsi.  

Altre volte invece ho avuto bambini non vedenti che avevano difficoltà a rendersi autonomi. Un esempio: ricordo una bambina che a 13 anni voleva sempre essere accompagnata da un vedente quando si muoveva all’interno della scuola; non sapeva usare le forbici e non volendo assolutamente toccarle, nascondeva le mani, perché “le forbici pungono e fanno male”. Comportamenti questi dovuti forse ad una educazione troppo protettiva. 

Eid: La “settimana bianca” era un evento unico in via Vivaio. Praticamente la scuola, per una settimana traslocava in montagna. Il contingente era importante: tutti gli alunni (tranne poche eccezioni), una ventina di docenti, alcuni collaboratori scolastici, qualche genitore e, a volte, anche la DS. Tutti sciavano o imparavano a sciare per la prima volta. E se non facevano lo sci da discesa, si trovavano altre soluzioni come lo sci di fondo o attività ricreative sempre sulla neve. Ogni tanto ci ripenso e mi chiedo dove trovassimo tutte le energie e gli slanci per portare a termine quella impresa.

D: Professor Quaranta, oggi – dopo un periodo di pausa a causa del Covid – siete riusciti a ripristinare la settimana bianca per le classi seconde. 

Quaranta: La settimana bianca è un momento di sperimentazione delle attività di gruppo e di autonomia – quando sono in camera insieme devono mantenere la stanza in ordine, badare alle loro cose. 

Si fanno attività nuove (tra sci, piscina… arrivano a sera tranquilli e sfiancati) che ci permettono di osservarli e di valorizzare aspetti che magari durante le ore di educazione fisica non saltano fuori. 

Per esempio, quello che è molto prestante e bravo su un campo di atletica, con gli sci deve fare esperienza e imparare.

La settimana bianca è un grande momento di condivisione tra gli alunni, che stanno bene, e anche noi stiamo bene con loro; dopo la settimana bianca cambia il rapporto con loro, c’è un clic, una maggiore fiducia. 

(fotografia di Stefano Pavesi, Vivaiadi 2023)

Lascia un commento