Intervista alla Dirigente della Scuola Media per Ciechi Vivaio, professoressa Adriana Colloca

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Intervista alla Dirigente della Scuola Media per Ciechi Vivaio, professoressa Adriana Colloca

D: Professoressa Colloca, a che punto siamo con l’inclusione in Italia? 

R: Noi abbiamo una delle migliori legislazioni in materia di inclusione, rispetto ad altri Paesi anche europei. Eppure alcune norme restano sulla carta, spesso non sono seguite dall’azione. 

Alla Vivaio si respira fortissimo il fatto che la Scuola mette in pratica l’inclusione, indipendentemente dalla norma.

L’aspetto importante è come le norme vengono declinate: questo fa la differenza. 

D: La Scuola Vivaio è reduce da un trasferimento che è stato traumatico, non possiamo nasconderlo. Ma ha dimostrato di avere un’identità forte, che le ha permesso di non perdere la bussola: la professoressa Santese nel suo intervento alle Conversazioni in Vivaio del 30 novembre (disponibile sul canale Youtube della Scuola) lo ha ben descritto. A fronte di eventuali futuri cambiamenti, nel clima generale di contenimento delle spese che viviamo, quali azioni saranno necessarie, per mantenere l’identità del progetto? 

R: Con i professori abbiamo già in previsione di avviare una riflessione su questi temi. 

D: Lei pensa che ci sarà sempre margine per mantenere l’identità del progetto Vivaio, basato sull’inclusione? 

R: Sì, assolutamente.

D: Mi parla della sua formazione?

R: Mi sono sempre occupata di temi sociali, ne sono sempre stata appassionata. Dopo la laurea in Sociologia alla Sapienza di Roma, con un indirizzo di studi in pianificazione sociale, ho conseguito un dottorato in Metodologia delle Scienze Sociali a Roma, La Sapienza, con sede consorziata a Firenze. La mia tesi di laurea ha riguardato i comportamenti giovanili a rischio, con riferimento all’abuso di alcool. Ho incontrato e intervistato centinaia di ragazzi delle scuole superiori, analizzando le variabili che intervengono nell’innescare una predisposizione all’abuso, collaborando con l’Istituto di Sanità.

D: A quali risultati ha portato la sua ricerca, in termini di prevenzione? 

R: La prevenzione riguarda più strade, non ci si può affidare ad una soltanto. Ad esempio, il solo informare sui danni per la salute: non è sufficiente. Il puntare tutto sul proibire di bere: può portare a risultati opposti a quelli attesi. 

D: In che senso?

R: Pensi alle famiglie italiane in cui l’alcool si consumava durante i pasti, il famoso bicchiere di vino. Veniva proposto anche in età precoce, il goccio di vino nell’acqua. Il fatto che fosse assimilato a un momento del pasto e non a un alimento per “evadere” lo rendeva innocuo. 

D: A volte mi pare che proibire una cosa a mia figlia significhi rendere quel qualcosa un simbolo di indipendenza e di emancipazione: in pratica, una cosa da ottenere a ogni costo. A proposito dei ragazzi, com’è avvenuto il passaggio dagli adolescenti delle superiori agli alunni delle scuole elementari e medie?

R: L’idea iniziale era di rimanere in università, poi per motivi personali mi sono trasferita a Milano. Inizialmente ho lavorato nel privato, mi occupavo di Marketing Analitico per Fiera Milano. Era un ambiente bellissimo, ma non mi apparteneva. 

Io ho la maturità scientifica e un diploma magistrale, avevo svolto il concorso durante l’università, poi me n’ero dimenticata. Mi hanno chiamata dal Provveditorato. All’inizio mi sembrava uno scherzo telefonico. Non avevo ricevuto comunicazioni ufficiali, avevo cambiato più volte indirizzo, ma il mio cellulare era rimasto lo stesso. Così ho iniziato a insegnare: cinque anni nella Scuola per l’infanzia, poi sette anni nella Scuola primaria. Sono stati anni molto belli e arricchenti, sono ancora in contatto con diversi alunni. Nel frattempo avevo preparato il concorso come dirigente, e dal 2020 ricopro questo incarico.

D: L’esperienza di insegnante le è stata utile per il ruolo che ha oggi?

R: Certamente. Ci sono dinamiche che si comprendono solo se vissute dall’interno, e dal principio. Gli aspetti formali che caratterizzano il dirigente, se non li si accompagna con l’aspetto educativo, fanno del dirigente un burocrate. Io ho bisogno di sapere dei ragazzi. La mia porta è sempre aperta, non la tengo mai chiusa, per principio. Invito i ragazzi a venire da me non solo perché devo strigliarli (la figura del dirigente è anche quello), ma anche per condividere le loro iniziative: fanno cose meravigliose.

D: Lei è dirigente della Scuola Media per Ciechi Vivaio, dell’Istituto Comprensivo P. Thouar e L. Gonzaga, e della Scuola dei Fanciulli Cantori della Cappella Musicale del Duomo di Milano. Come si trova a seguire più scuole?

R: Seguire più scuole dà il vantaggio di avere stimoli diversi. Ogni scuola mi mette nelle condizioni di misurarmi con stimoli che nelle altre non ci sono. Mi permette di imparare, di proporre nuove iniziative. Cerco di portare il buono di ognuna. 

D: Tornando alla Scuola media Vivaio e ai cambiamenti a cui accennavamo all’inizio, e per i quali avvierete delle riflessioni con i professori: lei crede nella verticalità?

R: Il ragionare in termini verticali che si esaurisce in pochi anni, mi fa arrabbiare. Il rischio è che si perda ed esaurisca il contesto inclusivo una volta usciti dal percorso, e in un’età in cui i ragazzi hanno bisogno di riconoscimento. Piuttosto, credo che la Vivaio possa fungere da modello e che possa venire adottato dalle scuole che di inclusione sono a digiuno.

D: Uno degli obiettivi del PTOF della Scuola Media per Ciechi Vivaio è proprio quello di diventare un punto di riferimento dal punto di vista dell’inclusione. Un luogo da cui diffondere le buone pratiche attuate all’interno della Scuola, affinché diventino patrimonio comune. Uno dei due plessi del Thouar Gonzaga in cui lei è dirigente, è polo regionale del modello “Scuola senza Zaino”. La porta a seguire ventitré scuole sull’esecuzione e sulla gestione del modello. Me ne può parlare?

R: Lo scopo del plesso del Thouar Gonzaga è quello di divulgare e di applicare il modello “Scuola senza zaino”. Gli obiettivi di questo modello sono il rendere la Scuola un luogo ospitale (con indicazioni specifiche anche sugli arredi, ad esempio con i banconi in condivisione), e in cui i ragazzi siano i protagonisti della didattica, non fruitori passivi. I ragazzi hanno delle proposte differenziate dal punto di vista dei materiali didattici, possono concentrarsi su ciò che è essenziale per loro. Il fondatore del modello, Marco Orsi, sarà nel nostro plesso il 23 (gennaio) per parlare di leadership del dirigente e di chi ha funzioni di responsabilità nella Scuola. E’ un modello che dà valore alla comunità: la Scuola non è fatta solo dal personale scolastico ma anche dai genitori, che ad esempio conoscono il valore didattico delle predisposizioni delle aule, e partecipano a momenti di cura degli ambienti. L’associazione è parte integrante e attiva, come in Vivaio. 

D: A proposito di questo, il 13 Febbraio si terrà un nuovo appuntamento nell’ambito delle Conversazioni in Vivaio, organizzate da Scuola e Associazione Genitori, con l’obiettivo di far conoscere e divulgare le caratteristiche della Scuola Vivaio. Lei è entrata in Vivaio da settembre 2023: come descriverebbe questa Scuola?

R: Nel caso della Vivaio, si tratta di una Scuola che si caratterizza per la sua inclusività.  Parlando con i docenti, comprendi che qui gli ingredienti sono diversi. Accanto alle materie curriculari c’è la musica, un’importante opportunità di comunicazione e di inclusione; ci sono i laboratori di attività pratiche speciali con le classi aperte, in cui si fanno scambi di esperienze; c’è l’ora aggiuntiva di scienze motorie, disciplina con un grande potenziale di inclusività; ci sono le ore di sostegno considerate “ore per la classe”, non per il singolo, sempre per una maggior inclusività; c’è il progetto del teatro (triennale e a classi miste) che permette ai ragazzi di esprimersi e misurarsi con ruoli e in relazioni diverse da quelli a cui sono abituati; c’è l’approccio alla polisensorialità (una delle eredità dell’apprendimento nato in una Scuola che è partita come Scuola per non vedenti, e che ha portato a valorizzare tutti gli organi percettivi, non solo quello della vista). Ci sono esperienze che portano a vedere la diversità come un qualcosa di interessante, e ad uscire dal concetto di “normalità”; ci sono docenti appassionati che si fanno anche “guidare” dai ragazzi, e che considerano un successo il “far vincere le battaglie agli alunni”; c’è la consapevolezza che riconoscere i propri limiti non sia un fallimento. C’è un orientamento in uscita che porta i professori di sostegno anche ad effettuare incontri con i referenti delle superiori, e se necessario a realizzare progetti di raccordo…

D: Grazie professoressa Colloca, buon lavoro per tutto!

R: Grazie a voi, a presto!

(in fotografia: Laboratorio di orientamento e mobilità presso la Scuola per Ciechi di via Vivaio, gara di corsa, anno 1965)

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