Intervista a un ex studente della Scuola Vivaio

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Intervista a un ex studente della Scuola Vivaio

Un grande grazie a Roberto Ranghieri, classe 1976, per questa bella intervista in cui ci descrive bene come le attività extra curriculari della Scuola lo abbiano influenzato anche in età adulta; ci parla di professori e di personale scolastico che – nonostante le imposizioni e la disciplina – sono riusciti a far sentire comunque ascoltati e apprezzati i loro alunni; ci trasmette la bellezza di un ambiente in cui le differenze “non si vivono male”.

Ciao Roberto, in Vivaio hai svolto delle attività speciali, tra cui l’orienteering. Che cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

Da ragazzino abitavo vicino al parco della Martesana. Ci andavo ogni volta che potevo, era il mio polmone, vedevo il cielo e dicevo: ok, il mondo esiste… non è tutto qui. Ho sempre cercato il contatto con la natura. Innamorarmi dell’orienteering per me è stato naturale.

Con mia moglie abbiamo scelto di vivere in Toscana, in un posto intorno ai boschi. La mia attrazione era questo: vedere una macchia di bosco che arrivasse fino all’orizzonte. Appena posso scappo e vado a fare un giro, anche la scioltezza con cui affronto le camminate in solitaria arrivano da quell’impronta lì, dall’orienteering. Vado anche di notte con le mie lucine e il mio cane, altri hanno paura… l’orienteering mi ha permesso di fare queste scelte. Anche mia moglie è una ex Vivaio, ci siamo ritrovati dopo un po’ di anni. Lei alle medie pensava che mi stesse antipatica ma non era vero… se la tirava perché era molto carina. Poi ci siamo visti una sera a cena, per parlarne, e da allora stiamo insieme: 14 anni di matrimonio e due figlie.

Quali ricordi hai della Vivaio?

Quei tre anni li ho vissuti benissimo, sono stati i più belli… non ce n’è. La Vivaio mi ha fatto innamorare, non tanto dello studio. Era proprio l’esperienza in sé. In quegli anni non è che brillassi. Non ero una capra. Ma il fatto di avere il tempo pieno, e di avere attività collaterali… ho sempre fatto fatica a stare fermo seduto al banco. Soprattutto a quell’età. E la dimensione era bella, ci conoscevamo tutti, eravamo una specie di classe unica. Ho sempre stretto amicizia sia con i più grandi che con i più piccoli. Il legame maggiore arrivava dai professori.

Com’era il rapporto con i tuoi professori?

Ho avuto la fortuna di incontrare professori speciali come Luca Eid, Francesco Belisario (con cui mi sento tuttora, lo chiamo una volta al mese), Gioia Aloisi, Silvano Pasquini… 

La professoressa Gioia Aloisi insegnava arte e mi diede uno sguardo sul mondo diverso: meno didattico, più introspettivo. 

Ho anche un ricordo negativo, sono stato l’unico ad essere sbattuto fuori dall’aula dal professor Belisario. Io sono molto fisico, soffro tanto a stare fermo. Lui era un’autorità, quando entrava in classe… solo con lo sguardo, aveva un potere sopra di sé… Tutti si zittivano. Io arrivavo da scuole elementari che erano un disastro, ero tra quelli da zittire.

Mi ricordo che ero fuori dall’aula e quando passavano le altre classi io facevo “Sì, adesso entro…!” con la mano sulla maniglia.

Francesco Belisario era il professore che ti avvicinava alla matematica e alla fisica con esempi concreti, con qualcosa in più. Non come altre materie dove era tutto ripetizione, come se fossimo in chiesa.

Con il professor Pasquini, non vedente, facevo questi giochi in classe. Un po’ rischiavo di cadere nel brutale. Mi divertivo a lanciare le monetine e Pasquini mi diceva quanto valessero: 100 Lire… A me questa cosa mi faceva sballare. E’ anche capitato che trovassi monete straniere, un pound; lui mi guardava e mi diceva “Ma sei scemo? Questa non è una moneta italiana”.

Capiva che ero un disordinato buono. C’erano altri ragazzi cattivi, più difficili, che vennero bocciati. Io lo facevo perché mi piaceva ridere con gli altri compagni e con i professori. Ero uno che faceva gli scherzi ai professori, in giardino mi era capitato di trovare delle rane e portarle in classe, o di spruzzare acqua. D’altra parte c’era anche tanta disciplina. I professori me le facevano pagare tutte, non si facevano mettere sotto… Ma hanno riconosciuto una sorta di innocenza. 

Ricordo la sala con l’organo in cui facevamo le rappresentazioni. Per farti capire la mia fisicità, io ero uno di quelli che cercava un modo di entrare in quella sala perché avevo scoperto che la struttura era camminabile… ero talmente malato che prima di una recita disseminavo i pezzi di uno scheletro del laboratorio di Scienze, e poi invitavo i miei amici a fare un giro nel camminamento…

Nel mio cortile di casa ho ritrovato un compagno di una sezione diversa della mia. Due mondi paralleli: lui faceva fatica a fare tutto. Era insicuro perché era molto grosso e alto. In età scolastica è cresciuto subito, era goffo, sportivamente era inesistente, non praticava nulla. Io ero iper attivo e non vedevo l’ora di conoscere gente, andavo d’accordo con tutti. Mi piaceva il contatto fisico, mettermi in ginocchio a torball, era divertentissimo…

Poi per un certo periodo, fino all’Università, rimettevo piede alla Vivaio. L’Istituto in sé trasudava di bellezza. 

Ricordo la bidella Gemma, poi ci siamo visti anche fuori dalla scuola, abbiamo fatto un paio di cene al ristorante. Trovare una persona così al primo varco scolastico… Sentivi che ti voleva bene, quando facevi qualche marachella, veniva lì e ti diceva, cosa stai combinando. Cercava di capire.

Facevate delle attività extra scolastiche?

La settimana bianca, le gite a Siena… i professori Eid e Belisario presero una proprietà in Toscana, organizzavano dei corsi estivi di equitazione, tiro con l’arco, calcio, pallavolo… eravamo in attività sempre, costantemente, in posti fenomenali.

Lì ho anche imparato a fare le fotografie. Il professor Belisario ci portò a Siena e mi mise in mano una reflex senza che ne sapessi niente, e mi disse, adesso ti dò la macchina e stasera vediamo. E da lì ha iniziato. In seguito sono diventato assistente fotografo. Oggi mi occupo delle immagini degli altri, in ambito grafico e comunicazione visiva.

Hai altri ricordi di quel periodo?

La Vivaio era tutta una gioia. Per arrivare in via Vivaio partivo da Viale Monza, dalla Martesana. I miei mi diedero l’indipendenza in quegli anni. 

Ricordo che magari tornavo anche con la febbre a 40 in metro e stavo malissimo, a malapena arrivavo a casa… nel suo era anche bello, alla mattina mi preparavo la colazione, tornavo al pomeriggio e vivevo in cortile. Di studiare non se ne parlava.

O prendevo la metrò o andavo in bici, erano 7 km tra andare e tornare. Quella era l’avventura, capito? La giornata finiva e mi cercavo le alternative per fare la strada più lunga e piacevole.

In via Padova c’era un negozio di dischi usati, Metropolis, io compravo le musicassette, avevo un walkman, e andando alla Vivaio in bici ascoltavo sempre le musicassette.

Nella mia zona in quegli anni c’era anche chi in casa aveva un’arma, si bucava e spacciava droghe pesanti. Alle elementari ho visto schiaffi e pugni volare tra i ragazzi. Lo sfottò finiva così, era violento. Io gli anni delle elementari non li ho vissuti benissimo. Uscivi da scuola e avevi questa paura, ti dicevi speriamo che oggi vada bene, anche in oratorio potevi finirla male se rispondevi male a qualcuno o avevi fatto fallo a giocare.

Com’era l’ambiente della Scuola?

In Vivaio c’erano anche figli di genitori musicisti. Un papà aveva un sassofono e suonava musica rhythm and soul in un gruppo di Milano, io andavo a casa del mio compagno e studiavamo le musiche dei film, mimando le mosse dei musicisti. 

Il padre di un mio compagno aveva uno studio di fotografia tra i più grandi a Milano, lo studio Furla. Ebbe l’idea di mettere a disposizione quello spazio professionale, dopo la scuola. Era talmente grande che ci potevi andare con lo skate: una volta mi disse, domani devo riverniciare; ci sono andato con lo skate tutto il giorno e poi l’ho aiutato ad imbiancare. 

Alle superiori ho iniziato a frequentare lì i corsi come assistente fotografo. Il primo anno di Architettura potevo chiudermi nella camera oscura a sviluppare le foto e bere vino.

C’erano alunni che sono poi entrati in Alleanza Nazionale. Figli di assessori che arrivavano in macchina blu. A quei tempi non me ne rendevo conto, ma già allora il loro bacino culturale non era il mio. C’erano ragazzi con la governante. Insomma eri circondato da ceti sociali diversi ma che dentro la scuola erano parificati, questa differenza non l’ho vissuta male e non l’hanno vissuta male i miei compagni, non facevano pesare niente, neanche tra genitori. I miei genitori partecipavano alle attività dell’associazione, li ho sempre visti molto attivi.

Ti occupi ancora di musica?

La passione per la musica me la porto dietro ancora oggi, sono Dj professionista da 25 anni, mi occupo di musica alternativa, ho aperto dei concerti di Vinicio Capossella, Manu Chau… sono fondatore e socio di una società che organizza dei festival musicali. La musica mi ha ripagato nello spirito, se non ci fosse stata la Vivaio non ci sarei arrivato, è stata una svolta alternativa, sarei rimasto sulle stesse frequenze medie del paese, sulla musica pop commerciale… Quell’esperienza mi ha spostato.

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